La crisi del 2008 ha cambiato del tutto il mondo del lavoro e della produzione industriale, probabilmente per sempre. Innovare facendo, pensare mettendo in pratica sembrano essere le nuove qualità richieste ai produttori, che devono essere in grado di reagire, recuperare capacità e produrre in contesti socio-economici molto più volatili e diffidenti.
Qualità, attenzione, valorizzazione del territorio e della tecnica, aspetti culturali e relazionali, fattori umani legati a una flessibilità straordinaria sono gli ingredienti che permettono ai nuovi imprenditori e ai nuovi artigiani di strutturarsi per affrontare le necessità dei loro contemporanei.
Le produzioni locali si ingegnano per resistere alla recessione economica, sviluppano metodologie nuove e combinate che sfruttano i vecchi saperi manuali, li combinano con le nuove tecnologie e inventano un nuovo modo di fare le cose. Gli artigiani creativi, geniali, resilienti, innovativi e arguti sono dunque coloro che hanno abbracciato la crisi come mondo di opportunità nel quale inserirsi per vendere prodotti nuovi, e così salvarsi.
I gruppi di lavoro sui nuovi prodotti sono quelli capaci di adattare i modelli, creare i sapori, ritagliare nuove forme, assecondare esigenze particolari andando incontro alla qualità propria di quel Made in Italy che tanto attira l’attenzione internazionale sull’Italia. L’artigiano 2.0 diventa dunque un economista della conoscenza: riesce a mettere in pratica un mondo di idee teoriche, riesce a mantenere una visione imprenditoriale generale e riesce a intercettare bisogni nuovi della società di cui egli stesso è parte.
Con l’aggiunta di qualche ingrediente più sperimentale e spregiudicato tipico dei makers californiani, i nuovi artigiani italiani, combinando tradizione, innovazione - e magari politiche manifatturiere attente alle trasformazioni in atto - sono pronti a trasformare il mercato globale nella loro nuova arena.
Per saperne di più: Stefano Micelli, Fare è innovare